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2012 - Arianna addormentata

 

Il ritorno di Arianna
Grazie alla collaborazione della direzione del Museo Archeologico e alla generosità degli Amici,torna in Galleria, dopo il restauro, l’“Arianna addormentata”. Magnifica copia romana di marmo pergameneo della fine del III secolo a.C., fino al Settecento era una delle attrazioni del giardino di Villa Medici a Roma.
Chi abbia la fortuna di visitare il giardino di Villa Medici sul Pincio a Roma, non potrà non notare, ricavata in una delle torri delle mura aureliane, una loggia elegantemente affrescata e decorata al suo interno. Fu proprio in questo prezioso contenitore, oggi vuoto, che per due secoli, a partire dalla fine del XVI secolo, la gigantesca figura marmorea di “Arianna addormentata” accolse centinaia di illustri protagonisti del Grand Tour italiano, da Jonathan Richardson a Johann Winckelmann. L’imponenza della scultura, la finezza del panneggio e, non ultima, l’idilliaca sistemazione rendevano l’Arianna medicea, all’epoca erroneamente identificata con “Cleopatra morente”, come una degna rivale della replica posseduta dal Papa e ancor oggi nei Musei Vaticani.
Non stupisce, quindi, che anche Velasquez abbia voluto rendere omaggio alla splendida opera raffigurandola in una tavola, oggi al Prado, nella quale la statua troneggia nella sua loggia affacciata sui vialetti sapientemente modellati come vero e proprio Genius loci del giardino del Pincio. 
Giunta a Firenze nel 1787, in concomitanza con la rimozione di tutti i marmi ancora a Villa Medici, la statua dovette subire un complicato lavoro di restauro che comportò la sostituzione della testa cinquecentesca con una nuova, esemplificata sul modello di quella, certamente antica, della replica vaticana. Questo nuovo restauro, forse da imputarsi allo scalpello di Francesco Carradori, comportò quindi la rimozione della primitiva testa di Arianna che, finita nei depositi del Bargello, fu riconosciuta nel 1883 dall’archeologo Adriano Milani per essere infine sistemata, appena pochi mesi fa, nel nuovo allestimento della sala 56 degli Uffizi.  Solo nel 1790, ultimati i lavori, la statua fece quindi il suo ingresso nel solo luogo degno della fama di una delle più celebrate nobilia opera della collezione granducale, la Galleria degli Uffizi, dove fu sistemata nell’attuale sala 41, all’epoca detta dell’Ermafrodito per la presenza in questo luogo anche di quella celebre scultura.
Proprio questi, però, sono anche gli anni che videro l’affermarsi di nuovi gusti e il direttore Tommaso Puccini, nominato nel 1793, incarnava pienamente le istanze della cultura neoclassica e del rigore filologico dell’antiquaria tardo settecentesca. In ottemperanza con tali principi, non stupisce quindi che già nel 1794 Puccini chiedesse la rimozione dell’Arianna dalla Galleria perché giudicata troppo restaurata per stare a confronto con gli altri marmi degli Uffizi. La richiesta fu accolta e per il marmo, per secoli celebrato come una delle meraviglie di Roma e ancora adesso considerato dalla critica come la migliore delle tre repliche sopravvissute sino a noi di un perduto originale pergameneo della fine del III secolo a.C., iniziò un lungo pellegrinaggio che la condusse alla villa di Poggio Imperiale, a Palazzo Pitti e, infine, al Museo Archeologico dove trovò, nel 1883, una sistemazione che si pensava definitiva nel Salone del Nicchio di Palazzo della Crocetta.
Così non fu. Il ripensamento del percorso espositivo di quel museo, elaborato in seguito all’alluvione del 1966, comportò la rimozione della statua che, relegata nei depositi di Villa Corsini a Castello, conobbe un breve ritorno all’attenzione del pubblico solo a partire dai primi anni duemila, in conseguenza del parziale riallestimento in forma museale degli ambienti monumentali della villa. Soltanto grazie alla preziosa collaborazione del direttore del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, Giuseppina Carlotta Cianferoni, e alla generosità degli Amici degli Uffizi, l’Arianna, fulgida del restauro appena ultimato da Louis Pierelli e Gabriella Tonini e immortalata dal obbiettivo di Maria Brunori, è adesso potuta tornare al luogo che le spettava di diritto, ultima tappa, ci si augura, di un’odissea durata due secoli che ha visto l’infelice figlia di Minosse peregrinare per i palazzi e le ville della città.  
   
Fabrizio Paolucci