L'inattesa resurrezione di Gherardo delle Notti
Sta per essere ultimato il restauro del dipinto maggiormente danneggiato dall'esplosione del 1993. La pala tornerà dove l'ha colta l'esplosione, come monito morale. L'impegno dei restauratori.
Quando, nel 1973, fu posta sullo scalone d'arenaria, che dall'ala di ponente della Galleria scende al corridoio vasariano, la monumentale Adorazione dei pastori di Gherardo delle Notti fu ricongiunta, almeno idealmente, al luogo della sua originaria ubicazione; giacchè la tela era stata allogata nel 1619 dai Guicciardini per l'altare della cappella ch'essi possedevano nella chiesa di Santa Felicita. E per l'appunto sul pronao di Santa Felicita transita il corridoio vasariano, progettato dall'aretino per il duca Cosimo e la sua famiglia, che, tramite quella loro via aerea, accedevano a un locale sospeso sul vano della chiesa, e vi prendevan messa. All'epoca dell'attentato del 1993 l'Adorazione era sulla parete piccola del pianerottolo che interrompe lo scalone, dirimpetto alla finestra che dà su via dei Georgofili. Con la sua taglia riempiva tutta la campitura rettangolare, scandita da lesene di pietra serena. E lì, quella notte di fine maggio, il vento furioso scatenato dall'esplosione sbattè la stoffa sul telaio, come fanno gli uragani con le vele. Il colore che riuscì a resistere allo scotimento, dovette subire anche la violenza abrasiva della polvere e dei frantumi sparati su dal vorticoso spostamento d'aria. E l'alta 'salvadora' rimase a incorniciare una balla di iuta, qua e là chiazzata d'ombre nere; quasi fosse un'invenzione dei tempi nostri, a mezza via fra Burri e Kounellis; mentre sull'impiantito giacque, fina come sabbia, la cromia grattata. La mattina dopo, la tela fu distesa sull'impiantito, con la delicatezza che tocca alle fragili spoglie d'un cadavere. E subito fu velinata, mentre ancora acre si respirava l'odore della notte. E da quei giorni la pala fu data per persa. Tornando, tuttavia, negli ultimi tempi, a rimeditare sui danni della deflagrazione, mi sono avvisto che dallo schermo scialbo dell'esigue carte incollate trapelavano, ancorchè a fatica, forme indistinte e tracce di colori. Sicchè m'è occorso di ripensare al futuro dell'Adorazione caravaggesca; e, sembrandomi perfino doveroso serbar memoria, per chi verrà dopo di noi, dell'evento tragico capitato nel 1993, ho pensato che la pala meritasse di tornare comunque nel posto dove l'aveva colta l'esplosione, e che dovesse tornarvi con quel poco ch'era rimasto della sua poesia. Ma soprattutto con quello che avrebbe attestato: una specie di monito morale, dunque; o, comunque, di prova lampante dell'ancipite natura umana; ch'è distruttiva, e però anche amorosamente portata a risanar le piaghe. Anche quelle che da sola s'infligge. E oggi, alla fine, non parrà ingiustificato l'impegno che s'è messo per quest'inattesa resurrezione. L'occhio, ora è grazie alla fine sensibilità di Lucia e Andrea Dori, che quest'intervento hanno magistralmente condotto è“ da sè quasi ricuce gli strappi; e colma le lacune; dove non c'è più figura, e solo la tela ha campo. E si riscoprono le accensioni della propria luce d'amore alla fiamma dell'odio scaturita dall'esplosione. Il Bambino è scomparso, gli angeli appaiono in fuga disordinata. Un amore durato più di tre secoli sulla fragilità di una tela, è stato lacerato, smembrato, ridotto in frantumi da qualcuno deciso a negare che le porte dell'inferno non prevarranno. E' vero, la violenza non si cancella, il dolore ci precipita in un abisso che possiamo dimenticare ma non colmare. E' questo che dice oggi il dipinto quasi ridotto in polvere da un'esplosione omicida? Dice che non esiste speranza di cancellare gli effetti della violenza? No, dice molto di più. Dice che nell'animo umano ci sono tenebre e c'è la luce, come nelle intenzioni pittoriche di Gerrit Van Honthorst, e basta una fiammella per dimostrarlo. Chi, ben sapendo che non esiste speranza di ridare al dipinto il suo originale significato, gliel'ha restituito sotto altra forma impegnandosi nel salvarne attraverso pochi frammenti almeno l'idea, ci dice che non bisogna mai arrendersi alla fatalità del dolore. A mio parere è una grande lezione, significa che l'Amore può essere perfino più forte della speranza.
Massimo Griffo